Ci sono così tanti modi e maniere di salutarsi nel mondo!

Vorrei però concentrarmi sul significato di due parole, che ci permetteranno di esplorare anche le diversità tra Oriente ed Occidente.

La prima è ciao che deriva dal veneto ‘ciavo ovvero schiavo, ma deriva anche dal latino sclavus col medesimo significato con cui venivano indicate le persone di etnia slava che un tempo rappresentavano il maggior numero di schiavi del mediterraneo.

Il secondo termine è namasté che deriva dal sanscrito, l’antica lingua Indiana. Questa parola è composta da due vocaboli: “nama”, che significa saluto o riverenza e “té”, che indica noi. Il suo significato letterale sarebbe: “ti saluto” o anche “ti venero”.

Prestando attenzione, già queste due definizioni ci permettono di avere informazioni sulle diversità culturali tra Oriente ed Occidente, che tutti noi conosciamo almeno in parte.

“Ma come, ti saluto dicendoti che sei uno schiavo?” ”O,ti saluto dicendo che ti venero?”

Il potere delle parole e delle loro origini!

La cultura Orientale prevede il vivere in armonia con gli altri e con la natura, e attribuisce scarso significato alla vita umana presa nel suo singolo, perché ritenuta transitoria ed effimera. Quella Occidentale, invece, sposta il focus sul singolo individuo tanto da far sviluppare la competitività con l’altro così da essere definita come cultura individualista.

Quest’ultima di base segue ideali come l’affermazione individuale e l’indipendenza, gli orientali al contrario praticano l’interdipendenza e l’armonia con il mondo concentrandosi sull’ambiente e su tutto quello che li circonda.

Le diversità appaiono legate anche al pensiero, in Oriente prevalgono ragionamenti di tipo deduttivo, osservatore e spirituale, mentre in Occidente prevalgono quelli di tipo analitico, oggettivo, induttivo, materiale e concettuale.

Un test condotto da Denise Park (Urbana University, Illinois, Usa) nel maggio 2007, ha dimostrato come la cultura condizioni anche la percezione. Davanti a immagini che prevedono un’inversione figura–sfondo, gli asiatici colgono più rapidamente le variazioni sullo sfondo, mentre gli occidentali quelle in primo piano, dimostrando così maggiore sensibilità al contesto piuttosto che ai dettagli.

Quello che mi ha particolarmente colpito è scoprire come queste diverse culture possano influenzare anche lo sviluppo del cervello, che come sappiamo si adatta e si modifica come dimostrato anche dagli studi di Angelo Gemignani, ricercatore del CNR.

Il quoziente d’intelligenza è quello che maggiormente stupisce. Se in Occidente la media è 100, tra gli asiatici la media è 106, con una punta di 113 ad Hong Kong. Una delle spiegazioni è data dal ruolo della lingua. In un esperimento di Neuroscienze si è dimostrato che nei cervelli Cinesi si illumina anche una ragione dell’emisfero destro che noi Occidentali utilizziamo per elaborare la musica. La ragione è semplice: il cinese è una lingua più tonale e lo stesso suono può avere significati completamente diversi a seconda delle tonalità con cui questo viene pronunciato. La lingua Cinese stimola, quindi, almeno in parte la superiorità dei cervelli Orientali. Anche la comunicazione ha il suo perché nel mostrare le differenze culturali. Noi occidentali parliamo tantissimo, diamo importanza al contenuto e preferiamo la prosa. In Oriente si parla meno, si è più attenti alla forma e si recitano, per esempio, mantra Tibetani che sposano il genere letterario vicino alla poesia. Il nostro linguaggio secondo Cristopher Bollas, psicoanalista contemporaneo è chiaro ed esplicito e segue i canoni della trasmissione di un messaggio tra emittente e ricevente: in Oriente si parla per analogie e metafore, cercando di unire il rapporto tra le persone piuttosto che fissare confini e dividere.

Joan Chiao, ricercatrice della Northwestern University (USA) nel 2009 dimostra che: “c’è una regione del cervello subito dietro la fronte, nella corteccia prefrontale mediale, che si illumina quando una persona descrive se stessa”. Nei cinesi la stessa regione si illumina anche quando descrivono la loro madre, questo perché gli occidentali tendono a vedersi come autonomi, i cinesi come connessi ad un insieme più ampio.

Ritornando alle definizioni etimologiche di namasté l’aspetto più interessante di questa parola si rivela quando ci avviciniamo al suo significato filosofico. Ad esempio, namasté può essere interpretata come “niente mi appartiene”.

E’ una parola che trasmette la necessità di mettere da parte l’egoismo, per collegarsi con il nostro “io” interiore e accettare l’altra persona.

A differenza il ciao è diventata una cifra dell’italianità adatto ad un numero di circostanze più ampio.

Utilizziamo il ciao ad esempio per salutare piacevolmente un amico, oppure possiamo dirlo di fretta ed in tono non amichevole per concludere una conversazione e chiudere una situazione.

Sappiamo che la diversità è ricchezza e così mi e vi chiedo proviamo a salutarci con un ciao che assomigli ad un namasté? D’altronde salutare è fare spazio dentro di noi, entrare nella nostra stanza della relazione e fare spazio anche all’altro.

Non solo per diti ciao ma per accoglierti!